sabato 31 dicembre 2011

Il mio nome è...


             Il mio nome è…

Questa è una storia che arrivando dal passato attraversando il presente e progettando il futuro ha realizzato un sogno.
Tutto quello che scriverò è tutto quello che realmente è accaduto.
Ho conosciuto due persone anni fa e per un periodo di tempo le ho osservate da lontano, quasi spiate, anzi senza quasi.
E’ cominciato tutto per caso un giorno mentre ero in un centro commerciale nei pressi del reparto donna situato vicino a agli scaffali dei trucchi, sapete quelle robe strane che le donne usano per diventare più belle?
Bene, una commessa stava sistemando i vari articoli in ordine meticoloso, colore per colore, modello per modello e prezzo per prezzo.
Ero estasiato nell’osservare quella creatura che mentre lavorava sembrava assorta nei suoi più profondi pensieri.
I suoi lunghi capelli castano scuro , gli occhi grandi color nocciola , dita affusolate che denotavano una delicatezza estrema, labbra rosa carnose e sensuali, insomma tutto era perfettamente al posto giusto, nessuna sbavatura.
All’improvviso il suo sguardo si alzò e cominciò a fissare un punto non ben precisato di fronte.
Non capivo cosa stesse osservando per i primi istanti, ma subito fu chiaro.
Un personaggio robusto con una lunga giacca di pelle nera, una maglietta aderente nera pantaloni …neri…e stivali chiaramente neri stava attraversando la il reparto diretto non si sa bene dove, forse nel retro, si era il retro del negozio, infatti ci sparì dentro.
La commessa non distolse lo sguardo di un millimetro sembrava rapita o come quasi in ipnosi, e forse lo era perché mi avvicinai ancora di più a lei per cercare di carpirne lo sguardo, ma lei non si accorse di me.
Le sue labbra si erano socchiuse, i suoi occhi erano aperti come quando si vede qualcosa che non si è mai visto, le sue dita tenevano un rossetto color porpora che non cadeva a terra solo perché si era incastrato tra le sue mani che sembravano deboli senza presa.
Dopo qualche istante l’uomo dalla lunga giacca di pelle nera riapparse dal retro del negozio e sul viso della commessa dalle labbra carnose si fece strada un lieve sorriso, una sorta di beatitudine che sembrava scaturire una sola ed unica domanda: “ Ma chi sei?”
Non so perché ne se poi è realmente andata così ma quel pensiero sembrava si fosse materializzato a tal punto che l’uomo dalla lunga giacca di pelle nera girò il suo sguardo proprio nella sua direzione.
Ero uno spettatore privilegiato anche perché quando i due cominciarono a fissarsi a distanza cominciai ad avere la sensazione che tutto intorno si fosse fermato, insomma ero spettatore di un momento di sospensione temporale di due anime che in qualche modo si erano trovate…o forse ri-trovate.
L’uomo dalla lunga giacca di pelle nera fece un sorriso aperto e solare e la commessa dalle carnose labbra rosa, come risvegliata da suo stato ipnotico rispose immediatamente con un altrettanto sorriso aperto, “Dio questo non lo avevo ancora notato” il suo sorriso era ancora più bello di tutto il resto, anzi no completava quel quadro già perfetto.
A quel punto mi sono sentito di troppo, lui si stava avvicinando e allora io mi allontanai, non di molto, ma mi allontanai.
Li guardavo mentre si conoscevano e avevo la netta sensazione che si conoscessero da sempre, invece non era così, non si erano mai visti prima…o forse si, in un’altra vita, in un altro mondo.
Si scambiavano sorrisi e sguardi che lasciavano poco spazio all’immaginazione, cioè, se avessero potuto si sarebbero baciati immediatamente , era una sensazione palpabile.
Ma no, lui dopo pochi minuti si allontano lasciando il negozio.
Tornai ad osservare la commessa dalle carnose labbra rosa, beh…lo aveva seguito con lo sguardo fino a che lui si perse tra la gente che affollava il centro commerciale.
Poi con una quiete strana in viso tornò a risistemare i suoi articoli sullo scaffale, ma con una differenza, questa volta i suoi pensieri sembravano più chiari, il suo lieve sorriso lo confermava.
Da quel giorno li ho seguiti spesso mentre l’uomo dalla lunga giacca di pelle nera tornava a trovare la commessa dalle carnose labbra rosa in negozio e tutto sembrava andare per il verso giusto, fino a che un giorno li vidi discutere e separarsi…
La commessa dalle carnose labbra rosa gli voltò le spalle e andò via...
L’uomo dalla lunga giacca di pelle nera salì sulla sua macchina e sparì dietro l’angolo della strada.
Come poteva essere che avessi visto male?
Come potevo aver confuso quella gestualità, quei sorrisi, quegli sguardi che si erano scambiati in tutti quei mesi?
Qualcosa non quadrava.
Allora mi presi la briga di seguirli singolarmente per capire cosa stessero combinando.
Beh quello che scoprii mi lasciò senza parole, l’uomo dalla lunga giacca di pelle nera era mano nella mano con un’ altra donna e la commessa dalle carnose labbra rosa addirittura l’ho vista in una casa insieme a un altro uomo, ci viveva insieme.
Non avevo capito nulla, mi ero lasciato fregare dai loro comportamenti e ci erano riusciti anche bene, molto bene!
Questo mi fece arrabbiare a tal punto che decisi di lasciarli perdere, di mandarli al diavolo, e così feci!
Negli anni a venire ogni tanto mi tornavano in mente l’uomo dalla lunga giacca di pelle nera e la commessa dalle carnose labbra rosa, e mi ponevo sempre la stessa domanda, ma perché non ha funzionato?
Beh quando si dice che a volte le cose che si pensano si avverano, ho alzato gli occhi e li ho visti!
Insieme mano nella mano mentre passeggiavano all’esterno di un centro commerciale girovagando tra le bancarelle addobbate per le festività natalizie.
Mi sono avvicinato per verificare che fossero proprio loro due, si erano proprio loro!
Erano passati sette anni dalla prima volta che incrociai i loro sguardi e li avevo abbandonati alle loro vite…avevano deciso così e invece eccoli qui insieme, incredibile cosa può fare il tempo e la vita.
Ho voluto raccontarvi questa storia perché sono quelle condizioni della vita che io prediligo e che amo seguire, soprattutto quando hanno un lieto fine.
Beh ora vi saluto si è fatto tardi vado a cercare qualche altro sguardo da seguire.
Ah dimenticavo non mi sono presentato: “Piacere il mio nome è Destino”




mercoledì 14 dicembre 2011

Sarà un Natale felice


Sarà un Natale felice, no, non credo che sarà un Natale felice.
Improvvisamente tutto ti crolla addosso proprio mentre sei arrivato alla meta, tutto si dissolve, le tue certezze, i tuoi punti fermi e tutto ciò che la tua vita fino a quel momento avevano, in qualche modo, creato chi eri.
La difficoltà sta nel cambiare, sosta nel modificarsi e nel lasciarsi tutto alle spalle senza sentire alcun rimorso, senza provare nessuna emozione per ciò che è stato.
Compito molto arduo e complicato che richiede una dose di tempo non ben definita.
Far finta di nulla potrebbe essere una soluzione, ma non è la direzione più idonea, reprimere solitamente porta all’esplosione alla fine, senza farti vivere nulla, né presente né futuro.
Si ha la sensazione di aver paura di muoversi, di spostarsi in qualsiasi direzione e immancabilmente ti ritrovi immobile, fermo, staticamente nello stesso punto, come se il tempo si fosse fermato formando una bolla di antimateria che nulla crea e niente distrugge.
Guardo la mia casa e ritrovo la stessa confusione che nella testa si affaccia in periodi diversi del giorno.
Ti senti euforico e poi triste, felice e poi angosciato, sicuro e poi incerto, un su e giù interminabile che mette a dura prova i tuoi nervi e le tue difese.
E ti ritrovi immancabilmente solo davanti a uno schermo a scrivere ciò che dentro si crea e si distrugge attimo dopo attimo.
La luce fioca della lampada e la musica di sottofondo t’immergono ancor di più nelle emozioni che si alternano tra negativo e positivo, come una bussola impazzita che non riesce più a trovare il suo Nord.
Stendersi sul letto provare a dormire o a chiudere gli occhi immaginando un mondo diverso da quello che stai vivendo, rimane, a volte, l’unica soluzione per evitare di fermare anche i battiti del tuo cuore.
E vuoi intensamente ciò che hai cercato e voluto per tanto tempo, e vuoi che tutto si possa cancellare in un solo secondo, qualsiasi ricordo, qualsiasi cosa che ti possa ricondurre a un passato non così poi remoto, come un cancelletto che passa sulla lavagna con un gesto netto e deciso a togliere il gesso che scriveva ciò che sembrava indelebile sulla tavola nera, creando quel pulviscolo bianco che lentamente cade verso il pavimento.
Ascolta il tuo cuore, segui ciò che ti dice e non sbaglierai mai.
Il cuore a volte è come spaccato, come diviso in due parti uguali tra passato e presente, tra futuro e infinito.
Fibrilla, vibra, palpita in continuazione mantenendo un costante battito irregolare, direttamente collegato ai tuoi pensieri, alle tue emozioni.
Sarà un Natale felice, no, non credo che sarà un Natale felice.
Sarò comunque da solo e qualcuno sarà triste come me.
Non ha importanza la distanza che si frappone fra te e chi soffre, non ha importanza chi prova dolore e non ha importanza dove e come, certo è che non sarà un Natale felice.



mercoledì 7 dicembre 2011

Notte




Il cuore batte nella notte che lentamente si avvicina alle luci dell’alba.
Accendo un’altra sigaretta che raschia la mia gola fino a raggiungere i miei polmoni, lo so…non fa per nulla bene, ma in notti come queste sono le uniche compagne che mi restano.
Il resoconto della tua vita è lì davanti ai tuoi occhi e continui a vivere di emozioni vissute con la donna che ami, con la donna che senti la tua esatta metà.
Ricordi per ora solo ricordi, un solo passo ancora e tutto potrebbe essere…
Sai bene che stai facendo soffrire…la sospensione di una vita che mangia i propri pensieri, continui, incessanti.
Il sonno che non arriva mai, ci provi, ti stendi, appoggi la testa sul cuscino chiudi gli occhi e senti che è giusto far riposare il tuo corpo, la tua mente, la tua anima.
No…nulla!
Sveglio, completamente vigile nonostante il buio della stanza e delle palpebre che t’isolano da ciò che ti circonda.
Perdersi in un sonno ristoratore sarebbe un’ottima soluzione, e invece…i bulbi oculari continuano a muoversi sotto le palpebre inseguendo le immagini, i ricordi, il tuo sorriso.
Un bicchiere d’acqua fresca scende nella gola come a spegnere tutto ciò che dentro senti bruciare, un solo attimo di refrigerio e poi nuovamente il turbinio di pensieri, ricordi, sensazioni riprendono il sopravento senza darti scampo.
Fuori è buio i lampioni della strada con il loro color arancione illuminano l’asfalto lievemente bagnato facendo scintillare il grigio pavimento, come se fosse un piccolo ruscello illuminato dalla luna.
Quanti pensieri attraversano la mente, quante emozioni colpiscono il cuore, ogni volta una piccola pugnalata, ogni volta una lacerante emozione che ti lascia senza fiato.
La vita è un viaggio indefinibile, ogni cosa accade quando deve accadere, ogni cosa non succede quando deve succedere, un rebus infinito che forse non avrà mai nessuna risposta.
Accenderò un’altra sigaretta ammirando l’alba, aspettando il nuovo giorno, sperando in un momento di pace, credendo che tutto possa cambiare, che tutto sia quel che deve essere.


Francesco Bonfitto

lunedì 5 dicembre 2011

Pensiero


Essere precisi nelle cose non è sempre facile, essere costanti nelle circostanze non è sempre possibile, essere coerenti con le proprie credenze non sempre è giusto.
Questo, se la situazione vissuta è normale già diventa difficile, se poi, le situazioni sono ancor più intricate, al peso della normale vita si aggiunge ulteriore carico, per via di ciò, tutto diventa più insopportabile e faticoso.
Alcune volte si fanno cose che vanno al di là della normale percezione della realtà, e in alcuni casi ci si lascia trasportare dal sentimento e da ciò che in quel momento sembra essere la cosa giusta, forse perché, è la cosa giusta.
Poi subentrano altre condizioni che rendono la camminata una corsa in salita, una delle condizioni meno idonee per certi faticosi percorsi è: la fiducia.
Spesso avere fiducia non è facile, non averne solitamente rovina i rapporti, che siano di amicizia o d’amore, facendo diventare e trasformando tutto da colorato in bianco e nero.
Le cose che si vedono non hanno più quelle sfumature che ti rendono il solo pensiero di una certa situazione o cosa come un quadro variopinto pieno di colore, ma la fanno divenire una tela monocromatica con, al limite, qualche sfumatura di grigio.
Allora, a quel punto, le cose sembrano cambiare drasticamente, come se volessero mutare da sole, come se fossero ormai sotto il controllo di forze esterne che dominano la tua volontà.
Ti senti impotente davanti a simili circostanze e la voglia più recondita è chiudersi in se stessi, come un riccio che avverte un pericolo facendosi scudo con i suoi acuminati pungiglioni.
La fiducia è tutto, se viene a mancare subentra un’altra prospettiva dettata da un secondo intralcio allo scorrere naturale delle cose: il dubbio.
Situazione + sfiducia = dubbio.
La circostanza che ci porta alla sfiducia innesca in modo completamente automatico il dubbio, e questo nuovo scenario non fa altro che distorcere ulteriormente la condizione, insomma, un cane che si morde la coda all’infinito.
Ci sono cose da comprendere e cose da sopportare qualsiasi sia la posizione che si occupa, che ci si trovi nella posizione di trasmettente o ricevente, la sopportazione a certi pesi a volte diventa troppo per chiunque.
Che sia amore o amicizia il peso diventa troppo pressante, arrivando anche a pensare che tutto possa finire nell’arco di un solo secondo.
Ci sono desideri che si vorrebbero attuare immediatamente e questo, non sempre è possibile, non sempre è realizzabile.
Anche la pazienza però, ha i suoi limiti, e questo ti porta inesorabilmente, a volte, a un nuovo stadio: l’isolamento.
Condizione che ci pone soli con se stessi per cercare di ascoltarsi fino in fondo, giù nel profondo dell’anima, per cercare di carpire anche le più insignificanti sensazioni, che solitamente, con il rumore della vita non si riescono a percepire.
A quel punto si comincia ad apprezzare il silenzio e tutto ciò che può avvicinarti al tuo più profondo “Io”, allo stadio più sconosciuto di te stesso, il silenzio della tua mente diventa il verbo della tua anima.
Se riesci ad arrivarci puoi scoprire cose anche spiacevoli, o nella migliore delle ipotesi anche cose rivelatrici e parzialmente piacevoli.
Ascoltarsi nel silenzio della mente può darti delle risposte alle domande che nella confusione non trovavano alcuna uscita, per via del rumore dell’esistenza.
Bisogna fermarsi e ascoltarsi almeno una volta nella vita, forse è giunto il momento di decriptare i segnali che dall’interno arrivano, escludendo momentaneamente, qualsiasi segnale esterno.
Queste sono solo parole, queste sono solo e ancora soltanto parole, forse, in queste parole però un fondo di vero c’è.
Io mi fido di me stesso, non posso pretendere che anche gli altri lo facciano.
Un passo alla volta e tornerò ad essere felice, un passo alla volta e ricomincerò a camminare.
Dedicato a tutti quelli che mi amano e a tutti quelli che mi odiano.

mercoledì 30 novembre 2011

Tra luce e buio


Certo non ero ancora riuscito a fare quello che dovevo fare, ma una cosa era certa, non potevo più andare avanti così.
Nella mia piccola casa colorata alle pareti di bordò, il calore del riscaldamento mi separava dal freddo intenso che fuori ingrigiva ogni cosa.
Nella mia testa un solo pensiero fisso: “Devo concludere questa faccenda, altrimenti impazzisco”.
La tazza di caffè nero calda tra le mie mani diffondeva una sorta di brivido in tutto il mio corpo, lasciandomi intorpidito nei miei pensieri.
Alcuni bambini giocavano nel cortile incuranti del freddo tagliente che arrossava le loro guance, mentre le madri parlavano chissà di quali consueti discorsi tra sorrisi e gesti armoniosi, come a mostrare che tutto nella loro vita andasse per il verso giusto.
Un film muto attraverso la grande finestra di casa che mi portava in contatto con l’esterno, con il mondo, dandomi la possibilità di separarmi per qualche istante dal mio pensiero, quel pensiero fisso.
Un pensiero di gioia e tristezza come in contrapposizione tra la luce e il buio, il giorno e la notte, l’estate e l’inverno opposti che si ritrovano in un solo pensiero.
Sensazioni opposte che riempivano continuamente la mia testa e ingrossavano il mio cuore fino a farlo quasi esplodere.
Alcune gocce di pioggia cominciavano a scendere bagnando il tavolo tondo colorato di blu elettrico sul terrazzo, la candela di sale si scioglieva lasciando rivoli di sale sciolto che si separava in due nuovi piccoli affluenti dopo aver incontrato il posacenere argentato pieno di mozziconi di sigaretta, ormai lì da alcuni mesi.
Le gocce cominciarono a diventare più grandi e l’intensità della precipitazione a essere più fitta fino a non riuscire più a vedere nemmeno la palazzina di fronte alla mia.
Le mamme nel cortile recuperavano, correndo a ripararsi sotto i portici, i loro piccoli cuccioli che sembravano comunque incuranti dell’acqua.
Il silenzio della mia casa a volte mi faceva male e ancor di più quando le giornate invernali piovose e grigie mutavano la tristezza del momento in angoscia.
Un pugno allo stomaco ripetuto più volte, una presa alla gola da cui liberarsi diventava impossibile, l’aria che sembrava fermarsi nella trachea senza fluire attraverso i polmoni e il cuore cominciava a battere senza un ritmo stabile.
Lì però, in quella casa, nella mia casa mi sentivo al sicuro, protetto da qualsiasi cosa.
A volte le cose si mettono di traverso e non ti danno la possibilità di continuare, di procedere, di evolverti, di arrivare alla tua meta.
Le difficoltà si mettono tra te e i tuoi sogni, tra te e le tue ambizioni, tra te e l’amore come un ospite indesiderato.
Non hai più nessuna voglia, nessuno stimolo distruggendo tutto dentro e fuori di te.
Solo una gran voglia di dormire, forse, per chiudere gli occhi nella speranza di non dover pensare, ma anche quello spesso diventa un lusso.
Qualcosa ti tiene sveglio per giorni interi e le tue occhiaie diventano più incisive, più evidenti, più profonde.
La tua immagine allo specchio diventa sempre meno gradevole, gli occhi cominciano a vederti in modo diverso facendo sparire il sorriso dalle tue labbra, facendo svanire la gioia, lasciando il posto alla tristezza.
La luce spostandosi cede il posto in modo ordinato e meticoloso al buio, dapprima lasciandoti in ombra per poi oscurarti completamente.
Non hai più punti di riferimento e come un non vedente cominci a brancolare nel nero più totale, una macchina impazzita senza controllo, un volo ingovernabile verso il nulla.
La tazza di caffè ormai fredda mi dona un nuovo brivido, questa volta gelido, che attraversa nuovamente il mio corpo completamente.
Ho bisogno di scaldare tutto ciò che dentro di me improvvisamente sembra diventare freddo, ma non trovo nulla che mi aiuti, l’ultimo brivido fa calare il buio e i miei occhi chiudendosi cercano un po’ di conforto nel sonno, sempre che arrivi, sempre che mi catturi regalandomi qualche ora di serenità.
Proverò a dormire un po’… tra la luce e il buio.

venerdì 14 ottobre 2011

Quello che non ho



 Il vocio arrivava dal palazetto dal back stage il rumore delle voci sembrava un ronzio continuo.
Quanti anni c’erano voluti per essere li, quanti sacrifici, quante porte sbattute in faccia, quanti no avevo dovuto sentire, quanto fiele amaro avevo dovuto ingoiare per arrivare lì.
“E’ pieno ragazzi, il palazetto è zeppo di gente, tra poco si comincia”
Lucio era uno dei tanti che negli anni ci aveva negato qualsiasi possibilità di emergere, ora invece che eravamo diventati un business, una macchina macina soldi si affrettava dietro il back stage assicurandosi che fossimo pronti per lo spettacolo.
“Due minuti e si comincia”
Nella mia testa c’erano solo due parole “Fanculo coglione”
Era ovvio che fosse pieno, dopo tutto quello che avevo passato con i ragazzi in tutti gli anni trascorsi a suonare in locali malfamati con retribuzioni da fame, era arrivato il nostro momento.
Certo, chi ora dirigeva e gestiva le nostre finanze non aveva nulla a che fare con il nostro successo, perchè se non fosse stato per quel grasso uomo che una sera per “caso” si trovava a passare in uno dei tanti localini dove buttavamo sangue e anima suonando, se non fosse stato per quel tizio apparso dal nulla,che tanto aveva insistito proprio con i grandi esperti delle case discografiche che ci avevano sempre snobbato, beh se non ci fosse stato quel grasso uomo, probabilmente, saremmo ancora in quei locali sudici a sognare di diventare famosi.
Ma questa è un’ altra storia, una storia del passato, ora eravamo nel back stage di un palazzetto con 15.000 persone che aspettavano solo che noi salissimo sul palco per ascoltare quello che dalle nostre menti e dai nostri cuori era nato.
Nel palazzetto le luci si spensero completamente era arrivato il momento, come sempre in quel preciso istante ogni cosa svaniva, non ricordavo più nulla e il panico si mischiava all’adrenalina, un cocktail letale per il cuore che batteva all’impazzata al ritmo delle voci dei 15.000 che urlavano: “Fuori, fuori, fuori…”
La batteria cominciava a tenere il tempo, eravamo già tutti sul palco ai nostri posti un ultima occhiata alla mia postazione e le varie luci che dalle tastiere arrivavano mi confondevano ogni volta, guardavo ma non vedevo, anche se qualcosa fosse stato non a posto ormai era troppo tardi, il grande telo nero che ci separava dalla folla da lì a pochi istanti sarebbe caduto a terra e ci avrebbe svelato quella massa di persone che impazziva per noi , che amava tutto di noi, che conosceva a memoria ogni intonazione, ogni parola , ogni respiro delle nostre canzoni.
Un secondo e il telo era a terra le luci infiammarono la platea e davanti ai nostri occhi un mare di mani alzate al cielo e le urla che arrivavano fino a noi nonostante l’elevato volume della musica.
Sotto al palco le mani si allungavano come a volerci toccare qualcuno tentava di salire ma il servizio d’ordine teneva a bada la situazione.
Mentre le mie dita scorrevano sui tasti delle gocce di sudore le bagnavano, avevamo cominciato solo da pochi minuti eppure quel sudore mi confermava che ci stavo mettendo l’anima, che stavo dando tutto me stesso ad ogni singola persona che era accorsa li per me, per noi, per ascoltarci.
La fine del primo brano e l’urlo che si levava nell’ aria sembrava un boato atomico.
Il secondo brano in scaletta era una hit dell’estate appena passata, appena finito il breve discorso del cantante con i saluti alla città e ai fans cominciai a toccare i tasti che intonavano proprio quel brano che tanto aveva spopolato durante l’estate, un’ urlo ancora più forte di quello sentito alla fine del primo brano come un’onda d’urto arrivo al mio stomaco, le mani mi tremavano ogni volta che sentivo quel calore dovuto a quelle voci che sembravano alzarsi all’unisono, anzi era proprio così, aspettavano tutti solo di poter urlare per farci capire quanto ci amavano.
Il concerto continuò senza intoppi in un crescendo di emozioni, l’ odore acre dei fumi di scena invadevano la mia trachea lasciandomi ogni volta sempre quello strano sapore di mela verde in gola e sulla lingua.
Ultimo brano e via dietro il back stage, stanchi sudati, sfiniti, ma con dentro tanto tanto amore.
Le voci non accennavano a calmarsi ci volevano ancora fuori…qualche minuto d’incitamento prima di ritornare sul palco per un ‘ulteriore boato che ci accoglieva ogni volta  che tornavamo sul palco per raggiungere la propria postazione.
Le luci si accesero nel palazetto una volta finito il concerto e dal back stage guardavo tutte quelle persone che si dirigevano verso le quattro uscite.
Le fasce sulla testa, le magliette, le felpe, i cappellini con il nome della nostra band si allontanavano insieme al nostro pubblico, indossate dal nostro pubblico.
Erano loro che ci davano e mi davano la forza di continuare, di trovare una motivazione di esistere e di essere.
Nel camerino appena entrato una volta sul divano sfinito mi addormento quasi subito.
Il suono acuto mi dava fastidio a tal punto da farmi svegliare, la bocca impastata e gli occhi ancora gonfi, qualche passo trascinato sul pavimento per arrivare davanti allo specchio del bagno.
Un po’ di acqua sul viso per riprendermi prima di accendere la luce che come una fitta mi trapassava i bulbi oculari ogni mattina.
La barba sfatta e le borse sotto gli occhi, qualche ruga ai loro lati e la realtà davanti a me.
La schiuma posata sul viso e la lametta che scivolando taglia quel prato nero che sul viso sembra sporco.
Ecco un altro giorno identico a ieri e uguale a domani…il lavoro mi aspetta lì inesorabile, solo di notte mentre dormo qualche volta il sogno ritorna a ricordarmi che forse…la mia vita non è questa che vivo ma quella che sogno, quella che ho sempre sognato e che mai mi farà sognare diventando realtà.
Chiudo la porta alle mie spalle lasciando dentro casa quell’alone di sogno che evapora come i miei anni.


giovedì 15 settembre 2011

A un punto morto

Il dialogo a volte serve a comprendere le dinamiche della vita, il confronto a determinare se le azioni che stai per compiere o solo pensando siano sane, lo scontro a stabilire una ragione.

"...Allora cosa hai deciso?"
"Non lo so , non ho ancora deciso nulla...è tutto così confuso, instabile..."
"Capisco...quindi sei a un punto morto...!"
"Si ...credo di si...ma anche no! cioè nel senso che so cosa fare, ma non so come farlo"
"Si la cosa non cambia, sei a un punto morto..."
"No non è vero, un punto morto è un luogo dove nulla è mutato"
"Beh...è cosa è mutato da ieri?...nulla a quanto pare, quindi a un punto morto?"

"Mi stai facendo incazzare! Un punto morto è qualcosa che non si sposta, un'idea , un pensiero, che rimane identico nello stesso posto e io...invece..."
"Tu invece...cosa?"
"Come io cosa...! Io sto modificando i miei pensieri, le mie emozioni, i miei sentimenti, ti sembra poco?"
"No, non mi sembra poco...mi sembra...nulla..."
"Come nulla....che cazzo dici, come al solito non mi aiuti...lo sai che la mia situazione non è facile no?"
"Si lo so...e questo ti deve giustificare?"
"In che senso giustificare...di cosa?"
"Giustificare il fatto che resti dove sei mentre vorresti essere da un altra parte"
"Beh questo cosa significa....sto modificando i miei pensieri per arrivare ad essere in un altro luogo e non qui dove sono adesso, è una cosa che necessita un processo lungo e che deve accadere in modo naturale"
"Mmmmm...si ti ascolto ma non capisco"
"Cosa non capisci?"
"Il tempo di cui hai bisogno..."
"Le cose maturano in base alle stagioni, non posso far nascere una ciliegia in autunno"
"Ah capisco, quindi tu sei una ciliegia?"
" No che significa era solo una metafora!"
"Quindi tu sei una metafora?"
"Ohhhh madonna santa quando cominci così diventi insopportabile! Certo che non sono ne una cicliegia e nemmeno una metafora...era solo per farti comprendere di cosa parlo delle sensazioni che provo e del dolore che sento per questa situazione..."
"Capisco, quindi non sei ne una ciliegia ne una metafora...."
"Esatto hai capito bene"
"E allora perchè ti comporti come se tu lo fossi?"
"Insomma...sembra che tu non voglia capire"
"Capire cosa?"
"Quello che ti sto dicendo...hai ascoltato le mie parole?"
"Certo che si....e tu ascolti ciò che dici?"
"Che domande è ovvio che ascolto ciò che dico"
"Ne sei certo?"
"Certissimo..."
" Bene ...allora forse dovresti cominciare anche a fare ciò che dici e smettere di sentirti una cicliegia che deve maturare o una metafora che deve realizzarsi"
"Tu dici?"
"Si"
"Quindi cosa dovrei fare?"
"Quello che veramente senti..."
"Non è facile..."
"Lo so...nulla è facile"
"E allora che faccio?"
"Tu cosa vuoi fare?"
"Andare lì"
"Lì dove...?"
"Nel mio posto, quello giusto..."
"E allora vai..."
"Non è così semplice, la fai facile tu..."
"Può essere, ma potrebbe anche essere che sei tu che la fai difficile no?"
"Mmmmm...si potrebbe..."
"Allora? che fai?"
"Non lo so..."
"Sei a un punto morto quindi..."
"Non lo so..."
"Ti senti una ciliegia che deve ancora maturare?"
"Non lo so..."
"Allora forse ti senti una metafora da comprendere?"
"Non lo so..."
"C'è qualcosa che sai?"
"Non lo so..."
"Mmmmm....una cosa certa in tutta questa faccenda la sai però..."
"Cosa?"
"Che non sai..."

Dialogo tra l'uomo e il suo io....anima contro materia...chi vincerà?
Francesco Bonfitto.


lunedì 12 settembre 2011

Il tempo inesorabile

Quando ti ritrovi solo, cominci a riflettere è inevitabile.
Anche quando non ti ritrovi da solo con te stesso, cominci a riflettere su ciò che intorno a te accade.
Questo ti porta inesorabilmente a delle conclusioni che arrivano tramite cervellotici ragionamenti che a volte sarebbe meglio evitare.
Come si può evitare l’evidenza?
Chiudere gli occhi e far finta che tutto sia normale, che tutto sia così, realmente così è un modo per sfuggire alla realtà, cercando una scappatoia per evitare certe riflessioni.
Solitamente quando mangio da solo in qualche luogo non ben precisato, dipende dove la giornata lavorativa mi porta, lavoro da solo camminando con la mia auto per km in vari posti, e anche lì, ti ritrovi solo con i tuoi pensieri.
Nessuno con cui parlare se non dialogare con la voce che in testa continua a porsi domande che richiedono risposte.
Oggi di fronte a me un tavolo di ragazzi, il più vecchio può avere venti anni, nei loro occhi , nelle loro parole solo futuro, ne presente ne passato, solo futuro.
La loro esistenza è lanciata oltre i limiti del tempo, tanta vita davanti a loro, anche se potrebbe capitare che si spezzasse all’improvviso, la loro anima è proiettata avanti.
Non hanno la visione della fine, non hanno timore dell’ultimo capitolo, quello definitivo che ti porta fuori dagli schemi della vita stessa, la morte.
Hanno solo la certezza di essere immortali, una convinzione che non da retta a nessun sintomo che nel corpo può verificarsi, nulla può fermare la loro vita, tantomeno un pensiero.
Sono una decina di persone tra ragazzi e ragazze, e l’unico pensiero che possono avere e ridere e scherzare mentre addentano la loro pizza o sorseggiano la loro birra media.
Nulla può distoglierli dal diritto alla vita che hanno.
Da questa parte io, che faccio il conto della vita, che tiro una riga su ciò che è stato e su ciò che sarà, ma per quanto ancora?
Potrei essere a metà della mia esistenza oppure ai due terzi, non lo so, certo è che ho meno tempo a disposizione per fare le cose, ho meno tempo per creare qualcosa, ho meno tempo.
Allora inevitabilmente ti chiedi cosa hai fatto e non cosa puoi ancora fare, inevitabilmente.
Qual è la soluzione?
Probabilmente non c’è il tempo è passato e puoi solo usare quello che ti resta per creare qualcosa per finire il tuo compito, se realmente hai un compito da portare a termine.
La domanda finale è: ho un compito? Se si quale?
Le domande si moltiplicano in funzione del tempo che avanza.
Il tempo che avanza sarà l’unico testimone di ciò che potrò fare, e io?
Io esisto, per ora.

sabato 3 settembre 2011

Aspettando l'alba

E' stata una notte difficile, molto difficile.
Una di quelle notti dove tutto accade nel momento sbagliato.
Non ci sono parole per descrivere come ci si sente in certe situazioni, non ci sono commenti giusti io sbagliati a certi comportamenti, sono dettati dal cuore e da ciò che dentro ti uccide.
Non ci sono scuse che possano spiegare cosa succede e cosa non succede.
Sentirsi responsabili di qualcuno senza poter far nulla, ti mette nelle condizioni di rimanere come isolato da tutto e tutti.
Sei in un posto ma in realtà sei ovunque tranne che lì.
Spiegare e spiegarsi il perchè delle cose non è mai un buon metodo, perchè alla fine non trovi mai una vera risposta.
Dovresti trovare il coraggio di staccarti da tutto ma non ci riesci e qualcuno nel frattempo, soffre.
L'alba arriverà anche questa volta, forse, sarò da solo ad osservare il sole sorgere.
Forse...il sole sorgerà ancora anche per me...












giovedì 11 agosto 2011

Per sempre al tuo fianco

Non capisco, ma ci provo.
Mi sono sentito dire negli ultimi due anni di essere lo scopo della vita di una persona, ci ho creduto, ci ho creduto veramente.
Pensavo fosse tutto vero e credevo che non avrebbe mai mollato, pensavo che sarebbe rimasta al mio fianco, ci credevo.
Poi un giorno qualcosa è cambiato e la persona che credevo al mio finaco, nonostante la difficoltà del momento è sparita.
Per amore mi ha detto, lo faccio per l'amore che provo per te.
Ho sentito altre volte parole così da altre persone che erano passate attraverso un esperienza simile, ma non l'avevo mai provata personalmente, come si dice prima o poi nella vita si prova tutto.
Amare per me è un'altra cosa, amare è rimanere vicino alla persona che dici di amare anche nelle situazioni che possono sembrare insuperabili, e invece .....
Ma non conta, ora sono solo e continuerò quello che devo fare da solo, chissà forse il mio destino è quello di rimanere solo, chissà forse doveva andare così.

Il circo dei sentimenti

Parlare di sentimente non è mai facile, argomento scottante, molto delicato, da trattare con cura e particolare attenzione.
Ma alla fine quando si scopre che i sentimenti possono causare dei danni tutto prende una forma diversa.
Poi certo, i sentimenti si dividono in due categorie principali: sentimenti di odio e quelli d'amore.
Anche se così diversi procurano e provocano comunque sofferenza.
Se qualcuno ti odia o se odi qualcuno comunque vivi male, se ami qualcuno o qualcuno ti ama comunque prima o poi vivi male.
Allora qual'è la soluzione di tale arcano?
Vivere senza sentimenti?
Fosse possibile sarebbe la soluzione più idonea a un esistenza senza problemi.
Ma a quanto pare questi due sentimenti principali non possono essere divisi dall'esistenza di un essere senziente.
Il circo dei sentimenti prende il sopravvento senza lasciare scampo, discussioni sterili su cosa e cosa non fare, problemi che si sommano ad altri problemi senza riuscire a vedere una possibilità che abbia una reale soluzione, insomma, il circo dei sentimenti è veramente difficile da gestire e da portarsi dietro.
Un grande carrozzone che si sposta con te in ogni luogo, ovunque tu vada lui ti segue e si ferma nel posto più idoneo, prima di piantare a terra i pennoni che serviranno a sostenere il tendone che conterrà gli spettatori che verranno a guardare il tuo show.
Quanto tempo si fermerà il circo dei sentimenti in quel luogo dipende solo dagli spettatori, una volta esauriti si cambia destinazione.
Il circo dei sentimenti è sempre con te, odio o amore che sia non ti lascerà mai...lo spettacolo continua per tutta la vita, cambia solo luogo, cambia solo piazza, cambia solo destinazione...
Il circo dei sentimenti con il suo carrozzone continua a viaggiare e tu con lui.


sabato 30 luglio 2011

Uno strano risveglio

La sveglia non ha suonato stamattina, solitamente mi aiuta nel risveglio, ma stamattina no.
Fortunatamente oggi non si lavora e anche se l'orologio sul display del cellulare segna le 09.33, non mi preoccupo.
Metto i piedi a terra rimanendo seduto per qualche istante e mentre cerco di tornare alla realtà strofino gli occhi.
Riprendo in mano il cellulare e mi accerto che qualcosa manca.
Un piccolo segnale luminoso rosso che solitamente ogni mattina, questo fino a una settimana fa, c'era , sempre.
Stamattina no.
Nessun messaggio.
Appoggio nuovamente il cellulare sul letto e sento una sorta di distacco.
Qualcosa si è strappato, la sensazione è esattamente quella , uno strappo, qualcosa che si allontana, qualcosa che tenta di staccarsi da me.
Una sensazione forte e concreta.
Mi guardo intorno , casa mia è un delirio, disordine ovunque, mi rendo conto che è vero quando dicono che ciò che ti circonda riflette la confusione che hai dentro.
Penso che sarebbe il caso di sistemare un po, di ordinare casa, dovrei farlo.
Guardo nuovamente il cellulare, nessun messaggio, allora è vero, nessun messaggio.
Vado giù da Lillo a far colazione, butto due manate di acqua fresca sul viso e scendo.
Porto con me il computer penso che sia bello scrivere quello che sto esponendo qui fuori seduto a uno dei tavolini del bar di Lillo.
C'è il sole e la temperatura è buona, non fa caldo.
Sotto i portici seduti ai tavoli qualcuno sorseggia il suo cappuccio e mangia il suo cornetto alla crema, qualcuno legge un articolo di giornale, qualcuno si accende la prima o forse la decima sigaretta del giorno.
Lillo è lì come sempre dietro il suo bancone.
"Ciao , allora non sei ancora partito?"
La domanda di Lillo avrebbe dovuto mettermi una sorta di felicità addosso, partire per le vacanze dopo un anno di duro lavoro è sempre come una festa, invece no.
Tiro fuori dalla tasca il cellulare, nessun messaggio, il distacco diventa sempre più forte, reale, insistentemente effettivo.
Non rispondo a Lillo e ordino un latte macchiato con una brioches alla crema, no al cioccolato, no alla marmellata, no, la prendo vuota.
Lillo mi guarda un po sorpreso, mi conosce solitamente sono un casinista e non manco mai di battute quando la mattina entro nel suo bar per fare colazione, stamattina no, nessun messaggio, distacco, lontananza, sensazione di immensa distanza.
Come se durante la notte fosse accaduta una metamorfosi che cambia ogni cosa, la metamorfosi però non è la mia, nessun messaggio.
Mi siedo e aspetto la mia colazione.
Accedo all'unica porta che mi conduce in quel mondo virtuale che mi può far capire se qualcosa sia veramente mutato.
Conferma che arriva quasi subito, eri li solo 50 minuti prima, nessun messaggio nemmeno li, distacco, separazione, allontanamento.
Il cappuccio è caldo e la brioches non è che mi piaccia molto, eppure Lillo ha sempre avuto ottimi prodotti, forse non è la brioches che è scadente, forse sono io che sono diverso, forse sono io che ho concretizzato che qualcosa durante "La notte" è successa dall'altra parte della penisola.

...ma la notte so che pensi a me amore
nel buio cerchi sempre le mie mani
no, non fingere di stare già, già bene
di colpo non si può dimenticare
niente di cosi profondo e intenso o almeno penso...
( La notte-Modà)

Qualcosa è mutato, qualcosa è cambiato, qualcosa è diventato altro.
Finisco il mio cappuccio e dò un altro morso alla brioches chiudo il computer tutto e torno a casa.
Sul cellulare nessun messaggio, qualcosa è cambiato, qualcosa è mutato.
Strano risveglio, sento il distacco, la lontananza, il vuoto dentro.


venerdì 29 luglio 2011

Non so come mi sento

La testa mi scoppia, gli occhi arrossati, le mani mi tremano, il fiato è corto, i dolori sono ovunque sul corpo, non so come mi sento, forse male?
Si può essere che mi senta veramente male, la sensazione è che da un momento all'altro io possa non esserci più fisicamente.
Ipocondria?
Potrebbe essere.
Ansia?
Potrebbe essere.
Attacchi di panico?
Potrebbe essere.
La confusione la fà da padrone, mille parole nella testa , mille ferite nel cuore, mille pensieri nell'anima, mille fallimenti nel profondo del tuo essere.
Non so come mi sento, forse male?
I suoni diventano ovattati e le luci mi infastidiscono, quella del sole m'innervosisce e quella di una candela m'intristisce.
I rumori sono insopportabili anche fosse solo il picchiettio di un martello su un piccolo chiodo, un balzo al cuore e il ritmo che accellera così , senza motivo.
Non so come mi sento, forse male?
Sei consapevole che ciò che oggi sei sta facendo soffrire e questo fa soffrire, non ci sono sconti.
Sei certo che quello che oggi rappresenti sta facendo star male e questo fa star male, non ci sono sconti.
Mangio? Non ho fame.
Dormo? Non ho sonno.
Chiamo un amico, ecco cosa, lo chiamo.
Quale amico?
Nessun amico.
Non so come mi sento, forse male?
La testa gira sempre, in continuazione e cerchi di rimanere in equilibrio sulle tue gambe che senti tremare quasi a non sostenerti.
Mando giù un pò di zucchero, forse mi darà forza, ma nulla cambia, tutto gira e rimani su quel filo come un'equilibrista dondolando pericolosamente, evitando la caduta.
Se cado non so se avrò la forza di rialzarmi.
Non so come mi sento, forse male?
Osservo chi mi circonda e mi accorgo che non è più il mio modo curioso di osservare che sempre ho avuto, ma solo una conseguenza del fatto che i miei occhi vedono ancora, ma non sono più capaci di catturare l'essenza di ciò che guardano.
Assenza di me stesso, questa è la sensazione.
Le mani tremano, la testa scoppia, gli occhi bruciano e il fiato è sempre più corto.
So come mi sento, male.

mercoledì 27 luglio 2011

Il cliente non è al momento disponibile

Quando dall'altra parte dell'apparecchio telefonico c'e' questo messaggio si possono pensare mille cose, dalle più belle alle più brutte.
Se poi la cosa accade subito dopo che hai ricevuto un messaggio a cui hai risposto le probabilità che qualcosa sia accaduto diventano molto più alte.
Ora, fermo restando che si cerca di pensare sempre al meglio, non può essere improbabile che si pensi al peggio.
Certo non è un dato di fatto, può essere che il cellulare si sia scaricato improvvisamente, può essere accaduto qualcosa che non voglio nemmeno pensare, può essere tutto.
Può anche essere un messaggio chiaro di non voler essere ne disturbati , ne rintracciati.
Il cliente non è al momento raggiungibile ti lascia sempre un pò senza parole, perchè quello che immagini , quello che pensi, può diventare , anche se non vera la realtà del tuo momento, la tua realtà.
Il cliente non è al momento raggiungibile diventa in alcuni casi una sorta di distacco , forzato o voluto dalla persona che stai cercando.
Fatto sta che il cliente non è al momento raggiungibile per mille motivi possibili e non.

Francesco Bonfitto

lunedì 18 luglio 2011

Mi sono rotto le palle

Mi sono veramente rotto le palle, potrebbe essere un buon incipit per cominciare un discorso, ma non è educato.

Di conseguenza per educazione e per non urtare, con la mia cafoneria chi leggerà, cambierò l’inizio di ciò che sto per scrivere.


Tutto daccapo.

Mi sono veramente stancato.

Ecco così mi piace di più e sono convinto che potrà non essere attaccato da congetture e false opinioni di alcune persone che di me non conoscono proprio nulla.

Mi sono veramente stancato di tutto ciò che orbita intorno alle parole e di tutto ciò che transita nella mia vita da anni ormai.

Cicliche situazioni di cui sembra non si possa proprio fare a meno.

I rapporti si creano nel tempo e non con stereotipi o clichè già preconfezionati.

L’uso di tali preconfezionati conducono soltanto a un risultato: l’incomprensione assoluta.

Ora partendo dal presupposto che alcune situazioni sono inevitabili, mi chiedo per quale motivo ci si schieri da una parte o dall’altra, mi chiedo per quale motivo sia così difficile accettare le persone per quello che sono realmente e non per quello che nella testa ci si è creati della persona stessa.

Si conosce una persona quando realmente si ascolta e non quando si fa finta di udire ciò che nell’aria si disperde senza lasciare alcuna traccia.

Nello stesso tempo si ha la presunzione di conoscere tale persona a tal punto da potergli dire come e cosa deve fare, cosa e chi sarebbe giusto per quella persona, che nella propria zona d’immaginazione mentale si è idealizzata, senza reali riscontri obiettivi e veritieri.

Sentirsi dare del coglione in modo gratuito non fa mai piacere.

Va bene lo stesso, andiamo avanti.

Cerchi di crearti una vita serena, con molta fatica, cercando di dare meno fastidio possibile a chi ti circonda, e visto che sei già passato attraverso un’esperienza molto tempo prima così difficile, qualcosa che hai già vissuto sulla tua pelle standoci male e soffrendo come un cane, cerchi di evitarla.

Tendi a fare il meno possibile per arginare eventuali errori o screzi che possano rimetterti in quella situazione che tanto ti avevano messo alla prova e fatto star male.

Non basta, devi passarci nuovamente, c’è una sorta di voglia di ripercorrere certe strade e certe situazioni da parte di chi continua a dirti che ti conosce bene e che sa come sei fatto.

Invece non è così, probabilmente non mi conoscete, per nulla e non c’è stato nessuno sforzo di provare a conoscermi per quello che sono.

Chiudere gli occhi su chi è realmente una persona, per fare ciò che si vuole, significa non rispettare.

Il rispetto per l’appunto e le regole, sono punti cardine di tali ingiustificate e idiote condizioni, che ti portano inevitabilmente alla rottura.

Il rispetto non si chiede, va conquistato, il rispetto non s’impone, va coltivato.

Le regole non sono unilaterali, vanno condivise, le regole non vanno imposte, vanno valutate di volta in volta, imporle non avrà, con persone così arroganti e testarde come me, alcun risultato.

Giudizio scaturito da cosa?

Posso dire io com’è fatta una persona senza conoscerla veramente per poi trarne le mie conclusioni finali?

Forse, ma solo dopo averla veramente conosciuta, e non tramite opinioni basate su dati non vissuti, realmente.

Il sentito dire, lascia il tempo che trova.

Se impongo qualcosa che io reputi “il giusto” mi sono già messo da un lato della discussione, ho già detto indirettamente al mio interlocutore che ho ragione, e che qualsiasi cosa lui o lei mi dica, saranno sbagliate, solo perché, io credo di essere nel giusto.

Presunzione?

Essere nel giusto t’innalza come se tu fossi qualcuno che conosce i segreti di ciò che gli altri non sanno, questo non è rispetto, questa è imposizione.

Ognuno vive nella sua sfera e condivide esperienze e fatti di vita, emozioni, gioie, dolori, sofferenze e anche relazioni interpersonali a modo suo.

Ognuno ha il suo modo di essere e di esistere, se qualcuno ti dice che le tue relazioni interpersonali fanno schifo, beh forse è anche vero, ma la domanda è perché mi stai giudicando?

Che cosa significa che quindi anch’io posso dire che le tue relazioni interpersonali fanno schifo, sì potrei farlo, ma è il mio punto di vista ed è solo il mio punto di vista non quello del mondo, non quello del tuo interlocutore.

Le regole, capitolo strano e poco edificante.

Servono a regolarsi come dice la parola stessa a far si che la propria vita sia retta e abbia un senso continuo, ma chi impone le regole dovrebbe anche saperle rispettare, e chi impone una regola come per il rispetto parte già da un punto più alto della persona cui s’impongono.

Ha già ragione a prescindere quindi , parte già da un punto di conoscenza più alto.

L’errore, e lo dico con l’umiltà più grande che possa esserci, anche se c’è chi crede che io sia tutto tranne che umile, sta nel fatto che non si possono imporre, né regole né rispetto, l’errore sta nel presupposto che ci sia una ragione e un torto, l’errore sta nel fatto che ascoltare, sarebbe meglio che parlare, l’errore sta nel fatto che diventare ostici nelle cose in cui si crede a spada tratta, non ti fanno spostare di un millimetro, l’errore sta nel fatto che non si rispetta imponendo delle regole chi ti sta parlando non ascoltandolo.

Io sono uno che s’incazza parecchio e sono un impulsivo, ma lo divento solo quando vedo e sento che le cose non sono prese con serietà e correttezza.

Le regole non mi servono se chi mi sta parlando, non ha ascoltato nemmeno una sillaba di ciò che ho appena finito di dire.

Le regole non mi servono se chi ho davanti, ha in testa una linea dritta che si perde all’infinito senza curve, senza bivi e senza soste.

Quando gli uomini ancora lavoravano nei campi con i cavalli o i buoi per fargli tirare l’aratro, mettevano dei paraocchi ai lati del loro campo visivo in modo che non potessero vedere cosa realmente, li circondava, così ottenevano di raggiungere il loro obiettivo, far sì che il cavallo andasse in linea retta, senza chiedersi cosa fosse quell’animale che gli passava accanto, non poteva vederlo, questo facilitava il compito per fare in modo che il cavallo continuasse senza sosta e senza porsi domande.

Ora chiarito il fatto che non sono un cavallo e che il mio pensiero, malato che sia, non è mai andato e mai andrà in linea retta, mi dispiace per chi non comprende che ho molto di più da dare di quello che si è creato nella mente.

Partiamo daccapo e togliamoci dalla testa che mi si può conoscere perché mi si conosceva quando avevo quindici anni.

Il tempo è passato e le cose sono mutate, parecchio trasformate.

Forse si raggiungerà un accordo quando si comprenderà che il paraocchi me lo sono tolto da moltissimi anni e che non amo le regole imposte.

Non ho mai cercato di cambiare le abitudini e le regole di nessuno e mai lo farò, sto solo cercando con le mille difficoltà che mi si presentano davanti, di vivere una vita serena e normale con le difficoltà del caso.

Sono fatto così prendere o lasciare.

lunedì 11 luglio 2011

I giochi di prestigio

Amo i giochi di prestigio, per me sono una passione, ma anche un' ossessione.
Il gioco di prestigio ti porta in un mondo dove tutto è possibile, dove tutto è scena, dove tutto si può realizzare.
Basta una grande passione e molto esercizio, e ogni cosa diventa veramente possibile.
Ci sono giochi con le carte, le corde, gli oggetti, si può far sparie e apparire qualsiasi cosa si voglia, si può far vedere o non vedere ogni cosa si voglia, basta far pratica e il gioco è fatto.
Gli occhi stupiti di chi ti osserva sono la certezza che l'illusione è riuscita.
Non voglio parlare di questo però, o almeno, non proprio di questo ma di ciò che i giochi di prestigio non possono fare.
Alcune situazioni nella vita non possono essere prese e modificate, manipolate o illuse per renderle visibili o non agli occhi di chi ti guarda eseguire la tua vita.
Ci sono cose nella vita che hanno bisogno di tempo per arrivare ad essere, e non esiste nessun manuale che ti possa spiegare come fare per giungere all'effetto desiderato, come in un gioco di prestigio.
Quando stai male, quando dentro capisci che qualcosa non è al suo posto, ti senti teso, irrequieto, e assolutamente inadatto.
Nessun trucco potrà aiutarti a illudere e illuderti che tutto sia diverso.
Bisogna passare attraverso alcuni canali obbligati che, purtroppo, faranno soffrire chi hai vicino oltre che te.
Non esiste nessuna routine, come nei giochi di prestigio, nessun libro che spiega come e quando farlo , come realizzare la magia della vita ancora nessuno lo sa, nessun manuale vero è ancora stato scritto per l'uso di tale argomento, e forse non sarà mai scritto.
Trovarsi in situazioni che hanno un bivio, dove dover scegliere farà soffrire, comunque farà soffrire, non è una delle cose più piacevoli di questo strano gioco ancora non svelato della vita.
Vorrei tanto poter avere quella formula per conoscerne il trucco e provarlo più volte fino a che il gioco risulti vero....e non illusorio.
Posso farti pescare dal mazzo una carta qualsiasi e conoscerne il valore e il seme...ancor prima che tu l'abbia scelta, posso far si che nonostante il mazzo sia mischiato più volte le carte che ne usciranno siano quattro assi, ma non posso farti scegliere di rinunciare alla tua vita perchè ancora non so dov'è collocata la mia.
Anzi io so dov'è nascosta quella carta, il punto esatto , la sua posizione, ma non conosco quel trucco che me la faccia ritrovare senza ombra di dubbio.
Dubbi nati non dalla certezza che la scelta che ho già fatto dentro è quella che ben conosci, ma dubbi nel non saper eseguire un trucco non conoscendone il segreto.
Non esistono parole per descrivere ciò che dentro sento, le parole stanno a zero.
La passione mi ha fatto innamorare dei giochi di prestigio come mi hanno fatto innamorare di te...ho solo bisogno del tempo necessario per trovare il trucco e capirne il segreto per poi poter eseguire il gioco nel miglior modo, non posso sbagliare, non posso più sbagliare.

Francesco Bonfitto.

domenica 19 giugno 2011

La stazione

Il treno era appena partito, il panorama scorreva davanti ai miei occhi come in un film che cambia continuamente scena.

Il vagone era quasi vuoto, forse una decina di persone in tutto.

Di fronte a me un bambino di pochi mesi, in braccio alla mamma, mentre mi sorrideva faceva bolle di saliva con la bocca, anche la madre mi sorrideva, ed ero molto di più interessato alla mammina che al bel bambino cicciottello, che continuava imperterrito a produrre saliva in bolle spruzzandone una quantità importante sui miei pantaloni.

“Mi scusi per il mio bimbo, non volevo le sporcasse i pantaloni” disse la mammina con voce suadente tirando fuori dalla sua borsetta un kleneex porgendomelo.

“Non si preoccupi, e solo un po' di saliva” risposi mentre asciugavo i pantaloni “ e poi il suo è un bimbo così bello, che gli si può perdonare tutto.” dissi con gentilezza alla bella mammina, che mostrava un decolté molto prosperoso, che era impossibile non guardare.

“Bimba, è una bambina, si chiama Chantal.” precisò la mammina.

Giocai con la piccola Chantal per qualche minuto come si fa con i cuccioli di umano, producendo quei versi da deficienti, che solo davanti a un pargolo di pochi mesi, si possono emettere, senza cadere nel ridicolo per chi ti ascolta.

“E’ proprio una bella bimba, bella come la mamma” avevo trovato il modo giusto per attaccare discorso con la bella mammina,

“ E dimmi Chantal la tua mamma ha anche un nome bello come il tuo?”

La domanda posta alla piccola Chantal, in modo da sembrare agli occhi della bella mammina un quesito realmente innocente, ebbe il risultato che mi aspettavo.

“Melissa è il mio nome, piacere” rispose la mammina, guardandomi con i suoi occhioni scuri da cerbiatta.

“ Piacere mio, Franklin, Franklin Button.” risposi prontamente.

Parlai con la bella mammina prosperosa per una mezz’ora circa, fino a che compresi dai suoi discorsi che non c’erano speranze di alcun genere.

Era innamorata di suo marito, sposata da solo un anno e mezzo, e Chantal, aveva solo sei mesi, un’impresa impossibile, potevo solo sperare in un’amicizia da treno, null’altro.

Fuori aveva cominciato a piovere e le goccioline che s’infrangevano sul finestrino si allungavano e stendevano simmetricamente nella stessa direzione di marcia del treno.

Alla fermata successiva Melissa e la piccola Chantal scesero dal treno, mi salutò sorridendomi e con un’ulteriore sbuffo di saliva, mentre Melissa, scusandosi nuovamente per il fatto che i miei pantaloni fossero ormai fradici per colpa della sua piccola, si congedò da me ancheggiando vistosamente, conquistando la banchina della stazione.

Il suo vestito a fiori di cotone leggero si muoveva insieme al suo passo delicato e sensuale mettendo in evidenza le sue belle gambe e le sue strette caviglie, impreziosite ancor di più, da bellissimi sandali estivi bianchi dal tacco alto.

Era veramente una bella donna, peccato non poter andare oltre con lei, pensai.

Scesero anche tutti gli altri passeggeri del vagone dov’ero, tranne un ragazzo di colore, seduto sul fondo dello stesso, che parlava al cellulare gesticolando in modo animato.

L’altoparlante della stazione gracchiando annunciava il ritardo del treno proveniente da nord e dopo pochi minuti di sosta il treno riprese la sua corsa con un fastidioso stridolio.

Il dondolio e il rumore costante delle ruote che battevano sulle giunture dei binari mi conciliarono il sonno, e in pochi istanti, sprofondai nel buio più assoluto, addormentandomi.

Non so veramente per quanto tempo dormii, forse pochi minuti, forse di più, ma quando mi svegliai il treno era fermo e la carrozza completamente vuota.

Anche il ragazzo di colore che avevo notato poco prima di addormentarmi non era più seduto al suo posto, nonostante non fosse sceso nella stazione precedente, dove si erano fermate Melissa e Chantal.

La cosa non mi preoccupò più di tanto anche perché non sapevo quante stazioni fossero passate mentre dormivo, probabilmente il ragazzo si era solo spostato di vagone.

Guardai fuori dal finestrino spostando di poco la tendina, aveva smesso di piovere e c’era un bel sole, gli alberi intorno alla stazione erano immobili, non c’era nemmeno un soffio di vento, passai una mano sulla fronte asciugandone il sudore, avevo la gola arsa.

La fontana vicino all’uscita principale sgorgava un fiotto d’acqua che amplificò la mia sete e intensificò la sensazione di caldo.

La stazione non mi era nota, ero certo che lì il treno, non si fosse mai fermato.

Dopo qualche minuto tirai giù il finestrino e mi affacciai, la stazione pareva deserta, e il treno sembrava non avesse nessuna intenzione di ripartire.

Scesi dal treno per verificare quale fosse il problema e quale fosse la motivazione del ritardo.

La piccola stazione era effettivamente deserta e cosa ancora più strana, guardando dalla banchina verso l’interno dei vagoni, il treno completamente vuoto.

Decisi di uscire dalla stazione per cercare un mezzo alternativo con cui proseguire il mio viaggio, ero già in ritardo per il mio appuntamento, e questo imprevisto, stava dilatando ancora di più la distanza tra me e l’orario del mio incontro.

Arrivato alla porta, la spinsi con forza per aprirla.

Quello che accadde mi confuse parecchio per quanto mi parve strana la cosa: ero appena uscito dalla stazione ma ciò che ritrovavo davanti a me era il treno, la banchina e alle mie spalle la porta d'uscita.

Feci altri tre tentativi ma l'esito fu sempre lo stesso.

Ogni volta che tentavo di uscire all'esterno, mi ritrovavo sulla banchina all'interno della stazione davanti al treno e con l'uscio alle spalle.

Forse stavo sognando, strofinarmi gli occhi poteva essere una soluzione per cercare di svegliarmi, semmai stessi dormendo, ma non funzionò.

Ero sveglio.

Mi accomodai su una panchina vicino alla sala d’attesa, cercando di rimanere calmo, ero certo che c’era una spiegazione a tutto quello che stava accadendo, doveva esserci una logica in quello che stava succedendo, dovevo solo trovarla.

Il convoglio fermo sui binari sembrava un treno fantasma, nessun movimento nessun segno di vita, anche l'aria sembrava essersi fermata, nessun rumore turbava quello scenario insolito.

Faceva molto caldo, la temperatura si era alzata e la gola bruciava in modo più intenso, il sole era alto nel cielo terso di luglio.

La fontana vicino all’uscita aveva smesso di sgorgare acqua.

Cercai nelle mie tasche qualche moneta per prendere qualcosa di dissetante ai distributori automatici posti sulla banchina.

Cinquanta centesimi bastavano, ed era l’unica moneta che trovai nella tasca della mia giacca.

La moneta con un rumore metallico percorreva lo scivolo interno finendo in fondo al distributore con un rumore sordo.

Selezione 47, una fresca bottiglia di succo d’arancia rossa.

La spirale cominciò a girare in senso orario bloccandosi a metà imprigionando la bottiglia al suo interno, sul display elettronico un messaggio lampeggiante m’informava che il distributore era andato fuori servizio.

“Vaffanculo” urlai, sbattendo il distributore nel tentativo di liberare la bottiglia dalla spirale.

Nulla, i tentativi fallirono lasciando la mia gola ad ardere sotto il sole di luglio delle 12.37, come indicava il grande orologio vicino al chiosco chiuso dei giornali.

Avrei tentato nuovamente di uscire da quella stazione, non aveva senso quello che stava accadendo, nessun senso.

Mentre mi dirigevo nuovamente verso l’uscita, osservai la fontana che solo pochi minuti prima sgorgava acqua fresca, ora sembrava inattiva da molto tempo.

La sua base era completamente impolverata e le ragnatele la ricoprivano quasi totalmente.

Cosa stava accadendo, non riuscivo veramente a capire che diavolo stesse succedendo, mi sembrava di vivere uno stato di allucinazione, forse è il sole caldo, pensai, in realtà, era solo un modo razionale di giustificare quella situazione insolita che stavo vivendo.

Un fischio ruppe l'aria immobile, mi voltai di scatto e vidi sul fondo della banchina verso la motrice del treno il capo stazione che agitava la sua paletta verde per dare via libera al treno.

Il convoglio lentamente ripartì, muovendosi a strattoni.

Cercai di prenderlo tentando di aprire uno sportello, ma non si spalancò, tentai più volte, finché non caddi a terra rotolando rovinosamente quasi ai piedi del capo stazione.

“Si è fatto male ragazzo?”mi chiese l'uomo in divisa nera.

“Non è nulla” risposi alzandomi, mentre mi spolveravo i pantaloni con le mani guardando il treno che si allontanava dalla stazione salutandomi con i suoi lampeggianti rossi a intermittenza.

“Senta che razza di stazione è mai questa?”

“Sono sceso dal treno e ho cercato di uscire da questo posto ma il risultato e che sono bloccato qui, non riesco a uscire da questa stazione!” continuai irritato.

Il capostazione mi guardò e sorrise scuotendo la testa, infilò la paletta nella cintura, tolse il cappello rosso con fascia grigia che orlava la tesa di pelle nera lucida dalla testa, asciugandosi la fronte imperlata di sudore con un fazzoletto bianco di cotone.

“Mi segua ragazzo venga con me”.

Non ero molto felice di seguirlo perché non aveva dato alcuna risposta alla mia domanda, dopo un momento d’incertezza, guardandomi intorno, compresi di non avere molte possibilità di scelta.

Come un cane fedele che scodinzola, seguii il capo stazione, come se fosse il mio padrone.

Entrò in una minuscola stanza quadrata posta sul fondo della banchina tra la sala d'aspetto e i bagni pubblici.

Era molto piccola e spoglia, la sensazione che mi trasmetteva quell’ambiente era di solitudine e tristezza.

Sembrava non avere memoria di nulla, come se forse ferma nel tempo.

L’ambiente era composto di poche cose, essenziale, estremamente essenziale.

Un tavolo, due sedie di paglia sgangherate, una branda, un fornello a gas come quelli che si usano in campeggio.

Sopra a fornello un piccolo pensile a due ante di colore giallo sporco, in basso a destra un frigorifero bianco molto piccolo, al muro sopra il lavello, uno specchio ovale rotto nella parte superiore sinistra.

Una piccolissima feritoia che fungeva da finestra posta sulla parete destra, faceva filtrare una luce fioca.

Una porta non più alta di un metro era nell'angolo destro della stanza, probabilmente doveva essere il bagno, pensai.

Come faceva quell’uomo a restare in un posto così desolato?

Ero rimasto sulla soglia mentre osservavo la stanza fino a che il capostazione con un cenno m’indicò una delle due sedie, e anche se non gradivo farlo, entrai accomodandomi.

Lo scrutavo, mentre con estrema lentezza, dal piccolo pensile giallo sporco tirava fuori due bicchieri e una bottiglia di vino rosso, che dopo aver avvitato nel sughero buona parte del cavatappi con un colpo netto, stappò.

Il rumore del vino che scendeva gorgheggiando riempì quasi fino al bordo i due bicchieri.

Appoggiata la bottiglia sul tavolo, riposizionò forzandolo un po', il tappo di sughero nel foro della bottiglia.

Alzò il suo bicchiere, come se stesse invitandomi a fare un brindisi, e diede una lunga sorsata, ingurgitando metà del suo vino.

Dopo essersi asciugato la bocca con la manica della giacca, cominciò a parlare.

“Non beve ragazzo?”

“No non ne ho voglia, preferirei dell’acqua, e comunque lei mi deve dare una spiegazi…”.

Il capostazione con soave tranquillità non mi diede possibilità di concludere la frase.

“Beva ragazzo, è molto buono, un nettare, non se ne pentirà, le uve di queste zone sono molto zuccherine, un vino unico”.

Non amavo il vino, anzi, in pratica ero astemio, ma con un sorriso di circostanza, presi il bicchiere e bagnai leggermente le labbra.

“Molto buono…” dissi.

“Non l’ha nemmeno assaggiato, non apprezza la mia ospitalità?” replicò il capostazione.

Le domande e l’insistenza dell’uomo m’infastidirono, ma la mia situazione, quell’assurda circostanza, non giocava certo a mio favore, ingurgitai in un solo sorso tutto il contenuto del mio bicchiere, senza pensarci più.

“Bene ora va meglio, da dove viene ragazzo?” mi domandò.

“Dove siamo?” Chiesi invece di rispondere alla sua domanda e continuai “Perché sono intrappolato in questa stazione?”.

Dopo essersi versato e aver riempito nuovamente il mio bicchiere guardandomi con aria particolarmente pietosa, fece un lungo sospiro prima di proferire parola.

“Ragazzo mio lei è nel posto più improbabile e sconveniente, dove le poteva capitare di essere... “.

“Si spieghi meglio cosa intende?

“Ragazzo è veramente sicuro di voler sapere dove si trova?”

“ Certo che ne sono sicuro, che cazzo di domande fa?” la mia pazienza veniva messa a dura prova, avrei voluto strozzare quell’ambiguo individuo, ma sapevo che era la mia unica possibilità e restai calmo.

“Questo è il nulla!” rispose con fare rassegnato, mentre giocherellava con l’etichetta della bottiglia di vino rosso.

Mi accigliai e nello stesso tempo scoppiai quasi a ridere ma lui continuò, smorzando il mio slancio.

“Qui tutto è, ma nello stesso tempo, nulla è!”

“Scusi” dissi dopo aver svuotato nuovamente il mio bicchiere “Lei mi sta prendendo in giro vero?”

“Vedo che comincia ad apprezzare il vino di queste zone”.

Riempii nuovamente i due bicchieri.

“Senta, facciamola finita” dissi alzandomi di scatto dalla sedia “Quando passerà il prossimo treno da questa stazione del cazzo!”

Il capostazione rimase seduto come se nulla fosse e la sua voce diventò sempre più calma e quieta, amplificando ancor di più il mio nervosismo.

“Si calmi ragazzo, si sieda, beva un altro bicchiere, agitarsi non le serve a nulla.”

Per un istante pensai di uscire e di andarmene, ma sapevo di non poterlo fare e che l’unico che poteva darmi una soluzione era quel maledetto uomo che continuava a versare nel mio bicchiere quel nettare zuccherino di quelle parti, di quali parti parlava poi?

Non sapevo né dov’ero e nemmeno se ero realmente in quel posto.

Mi sembrava di vivere un incubo, la speranza era di svegliarmi e scoprire che realmente stavo solo sognando.

Tornai a sedere, e sorseggiai ancora una volta il vino rosso rubino dal sapore di zucchero filato.

“Ragazzo mi ascolti attentamente, l'unico treno è già transitato in questa stazione ed è quello da dove è sceso lei, non esistono altri treni che arriveranno qui”disse appoggiando la sua mano sulla mia.

“Sì ma fino a quando domani?”, chiesi irritato ritraendo la mano, “Dopodomani, fra tre giorni? tra quanto tempo?”.

“Sono arrivato in questa stazione e non c’è possibilità di uscire, l’unica persona a cui chiedere qualcosa e lei, che invece di darmi delle soluzioni, continua a versarmi del vino, seduto su una sedia di paglia sgangherata, in una stanza schifosamente spoglia e poco illuminata.” “Chiedo delle risposte e lei non me ne da nessuna, cristo santo, quando passa questo maledetto treno!” Gridai.

“Ragazzo vedo che lei non mi sta ascoltando, se ne faccia una ragione, non ci saranno prossimi treni, a meno che…”fece una lunga pausa mentre sorseggiava un altro bicchiere di quel maledetto vino.

“A meno che, cosa?” domandai.

“A meno che…” disse mentre s’incamminava verso la stanza attigua, abbassandosi per passare attraverso la porta di poco più di un metro, da cui uscì dopo alcuni istanti.

In mano aveva una scatola rossa di legno con delle venature sul lato posteriore di color marrone marcato.

Una volta tornato a sedersi al tavolo di fronte a me appoggiò la scatola sul tavolo e versò nel suo bicchiere un goccio di vino.

“ A meno che…?” chiesi nuovamente.

Era tutto talmente assurdo che avevo difficoltà a credere che stesse realmente accadendo.

“A meno che, lei non risponda a tre semplici domande” disse appoggiandosi comodamente con le braccia sulla scatola.

Pensai seriamente di essere diventato folle e che la mia integrità mentale ormai fosse del tutto danneggiata, ma poiché ero in quella situazione, e che sembravano non esserci altre soluzioni, risposi che lo avrei fatto, che avrei risposto alle sue stupide domande.

Aprì la scatola e ne tirò fuori un foglio piegato in quattro, con molta delicatezza lo spiegò cominciando a leggerne il contenuto.

“Tre domande tre sono l’unica soluzione a tutto, tre domande, tre”.

“E’ pronto ragazzo?” chiese.

“Si certo” risposi scocciato “ Ho alternative?”

Il capostazione sembrava seccato dal mio modo distaccato e arrogante di rispondere, il suo sguardo accusatorio ne era la conferma.

“Cominciamo.” disse con tono deciso abbassando gli occhi sul foglio di carta.

“Prima domanda: Qual è il satellite del pianeta terra?”

“La luna!” risposi senza esitare.

“Tre domande tre sono l’unica soluzione a tutto, tre domande, tre”.

“Seconda domanda: quante sono le ore che compongono un giorno terrestre?”

“Ventiquattro”risposi e pensai che le domande del capostazione fossero tanto banali, quanto era assurda la situazione che stavo vivendo.

La filastrocca continuava

“Tre domande tre sono l’unica soluzione a tutto, tre domande, tre”.

“Terza domanda: qual è il suo nome di battesimo?” chiese con voce grave.

La terza e a quanto avevo capito anche l’ultima domanda, di quell'assurdo gioco mi era sembrata veramente troppo banale, troppo scontata, come potevo non conoscere il mio nome? Qualcosa non quadrava, come tutto il resto d’altronde.

Il dubbio, il sospetto, la paura che il capostazione mi stesse tirando un colpo basso mi fece decidere di mentire sul mio nome.

“Micheal è il mio nome di battesimo”risposi con aria di sfida e sicuro di me.

Il capostazione in silenzio quasi religioso ripiegò in quattro il foglio riponendolo nella scatola rossa di legno, chiudendola.

Si alzò e tornò nell'altra stanza.

Non riuscivo a comprendere il suo comportamento, non comprendevo quell'assurdo modo di giocare con la vita delle persone, è uno scherzo? Bene ora basta potete anche uscire, farmi vedere le telecamere e dirmi che sono su uno di quegli show del cazzo dove le persone vengono sbeffeggiate per far divertire il pubblico a casa, l'importante ora, e che veniate fuori e allo scoperto.

Era una mia speranza a quel punto, non potevo pensare a una cosa diversa.

Rimasi seduto e in silenzio, in attesa che il capostazione tornasse da me, versai un altro bicchiere di vino che scolai in pochi secondi.

Solo in quel momento mi accorsi che la bottiglia di vino era ancora piena, nonostante i due bicchieri fossero stati riempiti più volte dal capostazione dall’inizio di quel delirio.

Ma in quegli show sanno fare anche queste cose? Giochi di prestigio, probabilmente.

Dopo pochi istanti il capostazione rientrò nella stanza.

Appoggiò la sua divisa nera, che fino a pochi minuti prima indossava, ben ripiegata sul tavolo vicino al mio bicchiere vuoto.

Aveva indossato un completo grigio, taglio classico con cravatta rossa e scarpe di vernice nera, avevo la netta sensazione che stesse per andarsene.

La confusione aumentava, come aumentava la certezza che la mia mente non era più registrata, stavo certamente impazzendo, non poteva essere altrimenti, non ero vittima di una candid camera, iniziavo a credere che stesse realmente accadendo.

“Bene e ora cos’e’ questa pagliacciata?” Chiesi in modo ironico scovando ancora un pizzico di coraggio dentro di me “Il gioco delle tre domande com'è finito?” “Questi vestiti cosa sono, il mio premio?” terminai con strafottenza.

“In un certo senso sì, potrebbe considerarlo il suo premio, certo dipende da quale punto di vista si guarda la cosa” rispose con estrema calma.

Nei suoi occhi riuscivo a vedere la serenità, i suoi occhi azzurri limpidi, come il cielo di quella strana giornata di luglio, sembravano sorridere, a differenza di pochi istanti prima che il gioco delle domande finisse, che parevano cupi e grigi.

“Il gioco delle tre domande allora com’e’ finito, lo posso sapere?” chiesi nuovamente.

“E' finito ragazzo mio, semplicemente finito” rispose versando e riempiendo nuovamente i due bicchieri sul tavolo “Questi vestiti ora sono suoi, ora è lei il nuovo capo stazione”rispose in modo secco, prima di scolare il suo ultimo bicchiere di vino rosso leccandosi le labbra.

Lo guardai incredulo, non credevo alle sue parole, tutto era assolutamente folle e assurdo, tentai una sorta di ribellione alzandomi dalla sedia, che scagliai con un calcio verso il muro dietro le mie spalle.

Feci per parlare ma lui portò il suo indice alle labbra seguito da un lieve sibilo, che mi azzittì.

“Il suo nome non è Micheal, ma e Franklin.”

disse guardandomi dritto negli occhi.

Era vero quello era il mio nome, Franklin.

“Bastava un briciolo di sincerità in più, bastava che non mentisse sul suo nome, bastava questo, solo questo, e sarebbe stato libero di andarsene” disse con un tono talmente pacato e determinato a tal punto che non mi fu possibile non credergli. “Invece ragazzo mio, si è fatto prendere dal dubbio, dal sospetto, dalla paura di essere imbrogliato e la sua malafede l’ha portata a mentire, questo ha liberato me dopo molti secoli e imprigionato lei, non si sa per quanti altri ancora” continuò sempre con lo stesso tono di voce guardandomi in modo ancora più intenso “Resterà qui finché la sua fiducia nella gente e nella vita non sarà assoluta, quando il dubbio non farà più parte della sua esistenza.”

La voce dell’ex capostazione era diventata come un mantra, non riuscivo a dire più nulla, come se quello che ascoltavo fosse realmente l’unica possibilità che avessi a disposizione.

Stava diventando la mia realtà.

“Quel giorno vedrà entrare in questa stazione un treno con a bordo, forse, la persona che la libererà, una persona che come lei, per sfiducia nella vita, mentirà sul suo nome, addio Franklin”.

Mi consegnò la scatola rossa di legno contenente il foglio di carta ripiegata in quattro con il gioco delle domande.

Lo guardai mentre si allontanava canticchiando la filastracca del gioco, “ Tre domande tre sono l'unica soluzione a tutto, tre domande, tre.”

La sua voce si fece sempre più debole dopo aver varcato la soglia della porta principale della stazione che si chiuse alle sue spalle facendolo scomparire dalla mia vista e al mio udito.

Tornai nella spoglia stanza e versai riempiendo nuovamente il bicchiere di vino che svuotai immediatamente.

Nonostante fossi astemio tutto quel vino non mi aveva fatto alcun effetto, sempre che fosse vino.

Lavai i due bicchieri accuratamente e dopo averli asciugati li riposi nel pensile giallo sporco insieme alla bottiglia inesauribile di buonissimo vino rosso zuccherino, che solo da quelle parti si poteva trovare.

Sull'etichetta c'era scritto: La-nul -Vino di uva zuccherina di queste parti.

Indossai la divisa, misi il cappello rosso con la fascia grigia sulla tesa di pelle nera e mi guardai nello specchio rotto posto sopra il lavello.

I miei occhi verde smeraldo erano diventati grigio cupo.

Fuori sulla banchina era tornato un leggero vento, l'acqua della fontana aveva ricominciato a sgorgare, il caldo si era fatto meno intenso e la mia gola non ardeva più, stranamente, il vino rosso mi aveva dissetato più di un sorso d'acqua.

In lontananza alcune nubi nere cariche di pioggia si avvicinavano, i soliti temporali estivi, pensai.

Cominciai ad aspettare attendendo quel treno che forse un giorno avrebbe condotto da me qualcuno, qualcuno che sarebbe sceso nella mia stazione.

La stazione del nulla.