Il vocio arrivava dal palazetto dal back stage il rumore
delle voci sembrava un ronzio continuo.
Quanti anni c’erano voluti per essere li, quanti sacrifici,
quante porte sbattute in faccia, quanti no avevo dovuto sentire, quanto fiele
amaro avevo dovuto ingoiare per arrivare lì.
“E’ pieno ragazzi, il palazetto è zeppo di gente, tra poco
si comincia”
Lucio era uno dei tanti che negli anni ci aveva negato
qualsiasi possibilità di emergere, ora invece che eravamo diventati un
business, una macchina macina soldi si affrettava dietro il back stage
assicurandosi che fossimo pronti per lo spettacolo.
“Due minuti e si comincia”
Nella mia testa c’erano solo due parole “Fanculo coglione”
Era ovvio che fosse pieno, dopo tutto quello che avevo
passato con i ragazzi in tutti gli anni trascorsi a suonare in locali malfamati
con retribuzioni da fame, era arrivato il nostro momento.
Certo, chi ora dirigeva e gestiva le nostre finanze non
aveva nulla a che fare con il nostro successo, perchè se non fosse stato per
quel grasso uomo che una sera per “caso” si trovava a passare in uno dei tanti
localini dove buttavamo sangue e anima suonando, se non fosse stato per quel
tizio apparso dal nulla,che tanto aveva insistito proprio con i grandi esperti delle
case discografiche che ci avevano sempre snobbato, beh se non ci fosse stato
quel grasso uomo, probabilmente, saremmo ancora in quei locali sudici a sognare
di diventare famosi.
Ma questa è un’ altra storia, una storia del passato, ora
eravamo nel back stage di un palazzetto con 15.000 persone che aspettavano solo
che noi salissimo sul palco per ascoltare quello che dalle nostre menti e dai
nostri cuori era nato.
Nel palazzetto le luci si spensero completamente era arrivato
il momento, come sempre in quel preciso istante ogni cosa svaniva, non
ricordavo più nulla e il panico si mischiava all’adrenalina, un cocktail letale
per il cuore che batteva all’impazzata al ritmo delle voci dei 15.000 che
urlavano: “Fuori, fuori, fuori…”
La batteria cominciava a tenere il tempo, eravamo già tutti sul
palco ai nostri posti un ultima occhiata alla mia postazione e le varie luci
che dalle tastiere arrivavano mi confondevano ogni volta, guardavo ma non
vedevo, anche se qualcosa fosse stato non a posto ormai era troppo tardi, il
grande telo nero che ci separava dalla folla da lì a pochi istanti sarebbe
caduto a terra e ci avrebbe svelato quella massa di persone che impazziva per
noi , che amava tutto di noi, che conosceva a memoria ogni intonazione, ogni
parola , ogni respiro delle nostre canzoni.
Un secondo e il telo era a terra le luci infiammarono la
platea e davanti ai nostri occhi un mare di mani alzate al cielo e le urla che
arrivavano fino a noi nonostante l’elevato volume della musica.
Sotto al palco le mani si allungavano come a volerci toccare
qualcuno tentava di salire ma il servizio d’ordine teneva a bada la
situazione.
Mentre le mie dita scorrevano sui tasti delle gocce di
sudore le bagnavano, avevamo cominciato solo da pochi minuti eppure
quel sudore mi confermava che ci stavo mettendo l’anima, che stavo dando tutto
me stesso ad ogni singola persona che era accorsa li per me, per noi, per ascoltarci.
La fine del primo brano e l’urlo che si levava nell’ aria
sembrava un boato atomico.
Il secondo brano in scaletta era una hit dell’estate appena
passata, appena finito il breve discorso del cantante con i saluti alla città e
ai fans cominciai a toccare i tasti che intonavano proprio quel brano che tanto
aveva spopolato durante l’estate, un’ urlo ancora più forte di quello sentito
alla fine del primo brano come un’onda d’urto arrivo al mio stomaco, le mani mi
tremavano ogni volta che sentivo quel calore dovuto a quelle voci che
sembravano alzarsi all’unisono, anzi era proprio così, aspettavano tutti solo
di poter urlare per farci capire quanto ci amavano.
Il concerto continuò senza intoppi in un crescendo di
emozioni, l’ odore acre dei fumi di scena invadevano la mia trachea lasciandomi
ogni volta sempre quello strano sapore di mela verde in gola e sulla lingua.
Ultimo brano e via dietro il back stage, stanchi sudati,
sfiniti, ma con dentro tanto tanto amore.
Le voci non accennavano a calmarsi ci volevano ancora fuori…qualche
minuto d’incitamento prima di ritornare sul palco per un ‘ulteriore boato che ci
accoglieva ogni volta che tornavamo sul palco per raggiungere la
propria postazione.
Le luci si accesero nel palazetto una volta finito il
concerto e dal back stage guardavo tutte quelle persone che si dirigevano verso
le quattro uscite.
Le fasce sulla testa, le magliette, le felpe, i cappellini
con il nome della nostra band si allontanavano insieme al nostro pubblico,
indossate dal nostro pubblico.
Erano loro che ci davano e mi davano la forza di continuare,
di trovare una motivazione di esistere e di essere.
Nel camerino appena entrato una volta sul divano sfinito mi
addormento quasi subito.
Il suono acuto mi dava fastidio a tal punto da farmi svegliare, la bocca impastata e gli occhi ancora gonfi, qualche passo trascinato
sul pavimento per arrivare davanti allo specchio del bagno.
Un po’ di acqua sul viso per riprendermi prima di accendere
la luce che come una fitta mi trapassava i bulbi oculari ogni mattina.
La barba sfatta e le borse sotto gli occhi, qualche ruga ai loro lati e la realtà davanti a me.
La schiuma posata sul viso e la lametta che scivolando
taglia quel prato nero che sul viso sembra sporco.
Ecco un altro giorno identico a ieri e uguale a domani…il
lavoro mi aspetta lì inesorabile, solo di notte mentre dormo
qualche volta il sogno ritorna a ricordarmi che forse…la mia vita non è questa
che vivo ma quella che sogno, quella che ho sempre sognato e che mai mi farà
sognare diventando realtà.
Chiudo la porta alle mie spalle lasciando dentro casa quell’alone
di sogno che evapora come i miei anni.
chapeau!!
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